mercoledì 8 giugno 2011

Odio Platonico

Ringrazio chi leggerà questo articolo un po' particolare. Particolare perché non è decisamente nel mio stile, e perché è particolare la modalità con cui l'ho scritto, ovvero accompagnato da questo tema musicale:
e ho finito di scriverlo, nel momento in cui il tema è finito.
È stato un esperimento piacevole e interessante, per quanto breve, per cui potrebbe essere una cosa curiosa se vi avvalete dell'uso della musica di accompagnamento durante la lettura. Scelta vostra.
 Non correggerò quanto segue, anche se vi saranno probabili errori grammaticali, per mantenere la purezza di quello che la musica mi ha comunicato.


Oggi il suono stridulo della sveglia ha ben accompagnato il mio risveglio. Senza troppa fatica, dopo una serata tra bagordi e risate, alle 8:15 i miei piedi hanno goduto di un docile contatto col pavimento, per poi intraprendere il cammino verso la cucina. Il suono appena percettibile dei passi era il commento musicale perfetto della voglia di arricchire la giornata con quei deliziosi riti mattutini, spesso fonte piacevolmente potabile di una coppa di felicità di cui spesso e volentieri dimentichiamo l'esistenza per l'avidità d'animo votata alla ricerca di una facile disfatta o per la convizione di perdere la rotta quando la fortuna degli altri si sostituisce alla soddisfazione di essere i principali principi dei nostri princìpi.
La mattina è forse il consensuale discernimento delle proprie ragioni, e a ragione e forza ha ragione chi parla dei sonni della Ragione e delle belve che alleva nella stalla grande quanto il mondo, che il mondo stesso è. Non ho ben inteso se è stato l'ensemble del piacere dei sensi elargito dal rilassante suono dell'erogazione, dal profumo incisivo e dal sapore sublime della caffeina a potenziare un'inaspettata voglia di mettere insieme un mucchio di parole scanzonate e beffardamente poco ironiche (come NON è mio solito).
Probabilmente perché la risata è un'attività che coinvolge gli stessi muscoli che usiamo per piangere, gli stessi per commuoverci, gli stessi per arrabbiarci e per dire qualcosa. Quel qualcosa che aldilà del nostro primo lavoro importante, vivere, ci conforta con la sua immancabile presenza, negata a tutti quelli che non hanno intenzione di capire che lei non vuole essere invadente, ma solo una semplice e piacevole compagna, che con forza cercherà di aggrapparsi alle tue mani, un po' per la paura di essere abbandonata, un po' per stringerle affinché tu le dia la concessione di patteggiare un sodalizio eterno. È il patto che l'arte stringe con le persone, non con gli artisti che si denominano tali. Lo specifico in questa sede. Non sono un'artista. Sono solo morbosamente affascinato dalla creatività, da tutto l'appagamento che può dare, da tutto quel che significa deporre un attimo il putrefatto cadavere della realtà per cavalcare le nuvole di ogni piccolo atomo di idea e gonfiarle lentamente in un cielo limpido di storie bellissime da raccontare. E ogni storia è frutto di una storia precedente, forse meno bellissima, ma a cui non può essere sottratto il suo racconto. E questo viaggio
non si potrebbe compiere se non con i mezzi infiniti di cui si serve l'Arte. Per questo do' un valore importantissimo alla musica, uno dei mezzi più nobili perché capace di amplificare tutte le altre arti. Infatti c'è una sottile differenza tra le musiche di sottofondo e le musiche di accompagnamento. Quest'ultime fanno parte di un traffico ordinato di mezzi artistici, da cui è piacevole farsi investire, più e più volte.
La musica che accompagna i prodotti audiovisivi ha sempre destato in me un notevole fascino, è un elemento che mi induce a riflettere su cosa una determinata scena abbia intenzione di comunicare. Si, insomma, la musica come veicolo di descrizione e commento, poiché la parola parlata sarebbe davvero invasiva.
Esistono un sacco di personalità forti di questa capacità di descrizione, e tra questi cito poeti della descrizione del calibro di John Williams (senza ombra di dubbio il mio preferito) Jerry Goldsmith, Ennio Morricone, Danny Elfman, Alan Silvestri, Philip Glass, Carlo Rustichelli, John Barry e, perché no, il "recente" Paolo Buonvino. Se adesso arrivasse il sedicente intenditore di colonne sonore (specifico che io non lo sono) mi farebbe notare che tra questi c'è un grande assente. Un tedesco , classe 1957, apprezzatissimo, Si tratta di un certo Hans Zimmer, al 68° posto nella lista Telegraph dei 100 geni viventi (John Williams al 75° posto, dovere di cronaca).
Quanto posso girarci attorno ancora? Purtroppo poco, ed è qui che stendendo il velo pietoso, spiego le vele della mia nuda e cruda verità. Io Hans Zimmer non lo sopporto.
Non è una questione di invidia, nè un pregiudizio infondato, concedetemi la grazia di dirvi che so di cosa sto parlando. È solo il lamento di chi lotta per proteggere il suo mondo contaminato e NON per inculcare un idea a tutti i costi, non per primeggiare di intellettualità anticonformisticamente fittizia, ma per il semplice piacere di preservare e custodire ciò si ama, come i sogni dei quali odiereste il semplice fatto che qualcuno tenti di strapparveli via. Ed ecco che il signor Zimmer è l'incarnazione vivente di questo incubo. Alle volte mi chiedo se non sia capitato in un universo alternativo, non posso essere davvero l'unico a notare l'operato non del compositore, ma dell'imprenditore Hans Zimmer. Un uomo capacissimo (non lo metto in dubbio) di sfornare bellissime melodie (per l'appunto il tema del Re Leone lo adoro), ma capacissimo di propinarla all'infinito, per un numero quasi infinito di prodotti audiovisivi (per l'appunto il tema del Re Leone è riproposto in modo platealmente uguale nel Gladiatore e in Pirati dei Caraibi, così come Rain Man su L'ultimo Samurai, Batman e Inception, e la lista vi assicuro che non finisce mai). Una persona che ha fatto della musica di accompagnamento un'operazione di marketing spaventosa. Ed è lì che la musica smette di commentare, smette di descrivere, smette per sempre di coinvolgere nella sua naturale empatia. Diventa un prodotto industriale, una merce di scambio, un pacchetto confezionato, e quindi una dissociazione da quella migliore amica che decantavo poco sopra, l'arte, senza concedere la possibilità di mostarsi a tutti quei grandi, magnifici poeti che possono mettere la firma nel titolo di un grandissimo libro chiamato "Storia della musica", e peggio ancora, non concedendola a chi questo spazio se lo merita e non se lo è ancora guadagnato. E, mi dispiace, nel mondo d'arte che vuole la libertà di tutti, non ci può essere spazio per chi ha intenzione di portarsela via.